Il Parco naturale dell’Alpe Veglia
La storia dell’istituzione del primo parco della Regione Piemonte
1978 – 2018: quarant’anni di conservazione e tutela della natura
In questi anni il problema dello sviluppo sostenibile delle Alpi e dell’identità della società alpina è posto all’attenzione sia degli Stati che dell’Unione Europea. Nell’ampio dibattito politico e culturale che ne è emerso, su un punto tutti concordano: lo sviluppo economico delle Alpi non può essere disgiunto dalla tutela dell’ambiente. Questo perché la trasmissibilità alle future generazioni di un ambiente naturale come quello alpino, tanto ricco di biodiversità e con ampie possibilità di fruizione ricreativa, è un interesse prioritario per un’Europa sempre più metropolitana.
In questo ambito di discussione è emblematica la storia del Parco Naturale Veglia Devero che quest’anno compie 40 anni di vita. Visitarne il percorso è illuminante non solo di un momento della storia dell’ambientalismo italiano, ma anche della più generale storia d’Italia.
Negli anni ’60 venne avanzato da parte dell’ENEL il progetto di sommergere la conca dell’alpe per realizzare un invaso idroelettrico chiudendo con una diga la gola del Groppallo. Veglia sarebbe stata cancellata da un lago artificiale. Un pugno di uomini coraggiosi e le comunità locali si opposero al progetto. Nell’autunno 1967 i consigli comunali di Trasquera e di Varzo deliberarono l’opposizione alla progettata diga aderendo all’invito di Italia Nostra. Nei due anni successivi, promosso da Italia Nostra e dal Lions Club Verbania (furono organizzati due convegni di studio sul futuro di Veglia (1968 e 1969), il dibattito si ampliò assumendo dimensioni nazionali.
“Il progetto di costruzione di una diga, che chiuda l'Alpe Veglia dove il torrente Cairasca precipita nelle forre dei Groppallo e che trasformi la conca in un ampio invaso artificiale per la produzione di energia elettrica, risale agli anni Trenta. Da allora questo progetto, visto dai più come un danno perché avrebbe letteralmente cancellato il verde pianoro che costituisce la caratteristica saliente dell'alpe, ha minacciato come spada di Damocle il destino dei Veglia. Ritenuto sempre di imminente realizzazione ‑ l'ente interessato, l'allora società Dinamo, aveva già acquistato buona parte dei villaggi destinati ad essere sommersi dall'acqua ‑ lo stesso progetto ha però contemporaneamente protetto l'alpe dalla speculazione edilizia, contribuendo alla sua conservazione. Il pericolo che l'ENEL, dopo aver ereditato i progetti della società Dinamo, passi all’attuazione dell'invaso, sussiste.” (Alpe Veglia – parco naturale, 1970). Nei primi anni ’70 il progetto di costruzione della diga fu abbandonato. Un abbandono dettato non solo e non tanto dall’opposizione di un gruppo di intellettuali, quanto probabilmente a mutate strategie aziendali e alla possibilità che, data la scarsa permeabilità del terreno evidenziata dai rilievi geologici, l’invaso avrebbe incontrato difficoltà a riempirsi. Madre natura si era difesa da sola.
Il progetto della diga, seppure abbandonato, aveva posto prepotentemente il problema del futuro di Veglia e, con esso, di tutto l’ambiente alpino in un’Italia che stava uscendo profondamente trasformata dagli anni del boom economico.
Mentre le comunità locali si opponevano alla diga in nome dello sviluppo edilizio e turistico di Veglia, Italia Nostra e il Lions Club Verbania privilegiarono la tutela dei valori naturalistici e ambientali. Nel 1970 (“Anno della natura”) la Camera di Commercio di Novara pubblicò sul notiziario camerale un fondamentale studio di proposta per l’istituzione di un parco naturale all’Alpe Veglia.
Lo studio venne poi pubblicato in libro estratto nel dicembre 1979 dal significativo titolo: “Alpe Veglia – parco naturale”. Vale la pena di ricordare il nome di uomini che, in anni lontani e in una “altra Italia”, ebbero il coraggio lungimirante di battersi per un’idea pionieristica e vincente. Le note programmatiche della proposta di tutela furono redatte da Giulio Bedoni, Renzo Bossi e Arialdo Daverio, elaborando indicazioni e proposte espresse da un gruppo di lavoro formato da Carlo Alberti, Alberto Baiocchi, Giulio Bedoni, Mario Bermani, Emiliano Bertone, Renzo Bossi, Arialdo Daverio, Glauco Federici, Franco Pasquali, Andrea Roggia, Luigi Rondolini.
Dopo anni di acceso dibattito e definitivamente abbandonato il progetto della diga, nella seconda metà degli anni ’70 la Regione Piemonte decide di avviare una propria politica di protezione della natura. Nel 1978 viene istituito il Parco Naturale Alpe Veglia, il primo istituto di tutela in Piemonte, oltre a quello storico del Parco Nazionale del Gran Paradiso (1924). L’istituzione del Parco da un lato costituisce il coronamento del lavoro di elaborazione culturale di proposta di uomini che iniziarono a lavorare per esso dieci anni prima, dall’altro garantisce alle generazioni future la conservazione di uno degli ambienti più preziosi delle Alpi. I primi anni di vita del Parco furono molto difficili, un cammino ad ostacoli dovuto alle forti resistenze dei potentati locali che provocarono una situazione di paralisi istituzionale. Alla fine del 1990 l’assessore regionale Enrico Nerviani commissariò l’Ente Parco e in breve tempo fu nominato il direttore e realizzata la pianta organica. Nuove risorse umane con capacità progettuali e d’intervento (la seconda generazione degli “uomini del Veglia”) trasformarono in un breve volgere di anni il Parco in un soggetto attivo e propositivo della realtà istituzionale nelle valli Divedro e Antigorio.
Compiti principali del Parco sono la conservazione della biodiversità, la tutela e gestione ecocompatibile del territorio, la ricerca scientifica e culturale, la promozione di uno sviluppo sostenibile per le comunità locali. Questa azione avviene, a partire dal 1994, in rete con le altre 280 aree protette delle Alpi in Italia, Francia, Svizzera, Liechtenstein, Austria e Slovenia. Il Parco collabora attivamente alle commissioni di lavoro riguardanti la comunicazione, il turismo, la ricerca scientifica con lo scambio di dati relativi al monitoraggio della flora, della fauna e in particolare alla convivenza tra turismo e conservazione degli equilibri ecologici.
L’attenta azione di vigilanza e monitoraggio dei guardiaparco ha permesso il ricostituirsi di preziosi equilibri ambientali: cospicue popolazioni di stambecchi provenienti dalla vicina Svizzera sono tornate prospere dopo il “fallimento” di primitivi tentativi di reintroduzione. Camosci e marmotte, pernici e galli forcelli vivono oggi liberi sui monti di Veglia e Devero, con popolazioni “regolate” secondo leggi di natura. Il Parco è impegnato nell’opera di difesa della zootecnia alpina e nella valorizzazione dei prodotti tipici.
Dopo mille anni di utilizzo esclusivo di Veglia e Devero come alpeggi estivi, agli inizi del terzo Millennio queste praterie tra alte montagne assumono valenze nuove. Gli antichi alpeggi diventano un grande scenario dove gli uomini possono camminare, studiare, imparare.
Sulle Alpi Lepontine il Parco affronta la sfida di coniugare la conservazione dell’ambiente con lo sviluppo sostenibile della società alpina.
E il futuro?
Il futuro è tutto dentro le Alpi, nella prospettiva strategica di creare un grande parco transnazionale con il vicino Landschaftpark Binntal. L’idea grande di creare nel cuore dell’Europa una regione alpina accomunata dal rispetto per l’ambiente, la tutela della natura e uno sviluppo sostenibile per gli uomini di montagna. Una scommessa sul futuro.
L’Alpe Veglia possiede anche un segreto: d’inverno riposa sotto la neve, inaccessibile agli uomini e regno assoluto degli animali selvatici.
Dal 2009 l’alta Valle Antrona è stata riconosciuta come parco naturale ed inserita nell’Ente di Gestione delle Aree Protette dell’Ossola. In Antrona sono presenti ben quattro bacini artificiali (Lago di Cingino, Lago di Campliccioli, Lago di Camposecco, Lago Alpe dei Cavalli) ed il Lago di Antrona, uno dei rari laghi di sbarramento naturale delle Alpi, originato da una immensa frana nel 1642. L’istituzione del parco, che trova motivazione nelle caratteristiche naturali di vera eccezionalità, con grande diversità in termini di habitat e di specie, tra cui Erebia christi (la “farfalla dei ghiacciai”, endemismo unico al mondo), è il frutto di un percorso realizzato dalle amministrazioni locali, che, attraverso un cammino partecipativo, vi hanno riposto la speranza di creare nuove occasioni di sviluppo sostenibile. Un parco come “utopia” di una possibile convivenza tra uomini, piante e animali.
Varzo, primavera 2018
Paolo Crosa Lenz
Presidente
Ente di Gestione delle Aree Protette dell’Ossola
Dernière mise à jour: 22/01/2018 ore 16:53:10